Quanto agli altri testi biblici, dell’Antico e del Nuovo Testamento, che sono stati tradotti o composti direttamente in greco, essi obbediscono in gran parte alle stesse leggi. Si può dunque parlare non solo di retorica ebraica ma, più largamente, di «retorica biblica».
Queste stesse leggi sono state inoltre riconosciute operanti nei testi accadici, ugaritici e altri, precedenti o coevi alla Bibbia ebraica, poi nei testi arabi della Tradizione musulmana e del Corano, successivi alla letteratura biblica. Occorre dunque ammettere che questa retorica non è solo biblica; e si dirà che tutti quei testi, che appartengono, a diverso titolo, alla stessa area culturale, dipendono della stessa retorica, che verrà chiamata «retorica semitica».
Contrariamente all’impressione che il lettore occidentale inevitabilmente prova, i testi della tradizione semitica sono composti e ben composti, a condizione ovviamente di essere analizzati in funzione della retorica alla quale appartengono. Si sa che la forma del testo, la sua disposizione, è la porta principale che apre l’accesso al senso. Non che la composizione fornisca, direttamente e automaticamente, il significato. Quando tuttavia l’analisi formale permette di operare una divisione ragionata del testo, di definire in modo più oggettivo il suo contesto, di mettere in evidenza l’organizzazione dell’opera ai diversi livelli della sua architettura, allora si trovano riunite le condizioni che permettono d’intraprendere, su basi meno soggettive e frammentarie, il lavoro dell’interpretazione.