R. Meynet, La Lettre aux Galates, Deuxième édition revue, RBSem 26, Peeters, Leuven 2021 (279 p.)
Cara a Lutero, che la chiamava la sua “piccola fidanzata”, la Lettera ai Galati è, nonostante la sua brevità, un testo importante, decisivo per la fede cristiana.
Molti credono che questa lettera sia stata scritta nel fuoco della passione. Si è persino parlato di retorica talmente ardente che il testo sarebbe stato portato al “rosso incandescente”. Sarebbe quindi inappropriato cercare un ordine rigoroso in questo scritto occasionale. Altri hanno replicato che, comunque, non si tratta di una semplice e-mail!
Da più di cinquant’anni la Lettera ai Galati è diventata il campo privilegiato per l’applicazione delle regole della retorica classica greco-latina ai testi biblici. Alcuni pensano di riconoscere in essa un tipo di scrittura giudiziaria, altri un tipo deliberativo, altri ancora un tipo dimostrativo; per non parlare di coloro che propendono per l’epistolografia antica.
Il presente commento parte da un presupposto diverso. Anche se nato a Tarso, dove fiorivano le scuole di retorica, Paolo era anzitutto un ebreo, formatosi a Gerusalemme dove dice di essere cresciuto ai piedi del rabbino Gamaliele. È quindi indubbiamente meglio cercare di scoprire la composizione delle sue lettere non ad Atene, ma in quella che era la sostanza della sua cultura, la Bibbia, con le leggi specifiche che la caratterizzano.
Così, la tesi essenziale della Lettera, la propositio, non si trova all’inizio della lettera, come vorrebbe la retorica classica, ma proprio nel bel mezzo della sezione centrale, come chiave di volta, e quindi di lettura, di tutto lo scritto. In questo Paolo segue una delle leggi più fondamentali e consolidate della retorica biblica e semitica.
L’interpretazione della Lettera, sostenuta anche dallo studio del contesto biblico, è di conseguenza significativamente rinnovata.